giovedì 13 agosto 2009

[stand] progettazione

non-progettazione un altro testo "frontiera" sulla progettazione che terremo presente.

La sensazione-sospetto, per molti, è che da Williams in avanti il fare poesia non differisca molto dal fare tout court: se la poesia si è dissolta dalla prosa del mondo perché non assumere la prosa del mondo a poesia?


Williams invece mette in discussione la liceità della poesia come processo di esplicitazione caotica e casuale dell'io lirico, e quella dell'assunzione del linguaggio come registrazione, che vi si omologa, di qualsiasi atto liberatorio da costrizioni esterne. Nega che qualsiasi tipo di « scrittura» sia operazione corretta dal punto di vista etico e politico, né tantomeno che la poesia sia utilizzabile come momento (secondo l'ipotesi romantica) di sincronizzazione dell'io (in positivo o - e non fa nessuna differenza in negativo) con il cosmo dato o immaginato.

Piuttosto la poesia (e lo attesta l'opzione per un discorso metonimico contro uno metaforico, soprattutto in Al Que Quiere!, ma già in molte parti di The Tempers), è ipotesi « tecnica» di costruzione di uno spazio geometricamente e architettonicamente articolato (costruito per l'uomo, si noti bene, come una «casa» S.E. p. 177) e l'artista, come per Poe, è «ingegnere» (S.E. p. 35) che produce «stratagemmi» (S.E. p. 293), «oggetti» altri da sé. (I.AG. p. 294 e sgg.).

La poesia inoltre non è, come si diceva, momento liberatorio, o lo è solo nella misura in cui essa stessa si libera dalla « tradizione» che l'ha preceduta (le costrizioni formali fini a se stesse che sottendono una volontà di costrizione culturale) e cosi facendo si libera da se stessa e assume a nuovo imperativo categorico formale e/o tematico il rifiuto della contemplazione dell'io lirico nell'atto di rispecchiarsi negli aspetti «più eccessivamente opportuni» (leggi: «attesi », I.AG. p. 305) del mondo in cui vive.

Ancora una volta, l'esempio per Williams viene da Poe. Infatti in contrapposizione all'ipotesi «romantica» secondo cui l'uomo fuggiva la società alla ricerca della propria perduta integrità morale, dentro la natura, e sublimava, così facendo, la propria infelicità, « in solitudine »,E.A. Poe aveva progettato modelli di scrittura (in questo caso per Williams la scelta formale è politica) in grado di indicare e accelerare il processo di rottura dell'atto letterario americano nei confronti della tradizione e della propria funzione-immagine,cioè nei confronti di se stesso. Poe aveva infatti scelto di assumere la città (località) e l'io a momento d'incontro - scontrotra forze di segno contrario indissolubili (la « località» contro e verso l'individualità e viceversa), ribaltando in questo modo le aspettative del proprio pubblico a differenza, ad esempio, di quanto aveva fatto, perlustrando l'ovvio, J.F. Cooper.

In questa direzione intende operare Williams. Costretto a confrontarsi, come d'altra parte facevano gli altri, con la bancarotta economica e ideologica del primo 900, cerca di evitare l'ovvio: cioè la riformulazione, nell'ambito della poesia, della « fuga », o dentro la «letteratura» (secondo l'esempio di Pound, Eliot e dei Fugitives) o dentro immagini di nuova « materialità», ad esempio quella della «città» (New York) assunta a nuova metafora « positiva »: il « ponte» di Crane che si propone di ripercorrere la storia, ma non fa altro che rimetterla tra parentesi, rienunciando le valenze «mitiche» del caos.

Williams vuole liquidare miti, mitologie, linguaggi mutuati e non, ricominciando sempre da capo; propone un io lirico che si riconosce nello squallore delle città, nel banale, nella bipolarità della dimensione naturale (i fiori cioè, ma anche le radici e il fango), nella depressione, vi si compromette fino in fondo, nella imagery e nel linguaggio.

In tale senso, al di fuori cioè del sogno, lontano da una facile assunzione di una dimensione «utopica », dell'io che si atteggia a spazio privilegiato del discorso in versi, la poesia registra la dilacerazione dell'io nei confronti dell'io, e la dissonanza del proprio discorso nei confronti della tradizione, in altre parole della «poesia» tout court: non è forse vero infatti che, nata come monologo, preghiera tra sé e l'altro (il non dato cioè, nelle varie versioni di: dei, dio, universo),la poesia si era trasformata in inno dell'io a se stesso, come unico punto di riferimento della propria disperazione (Whitman che canta ed ama « se stesso », perché non riconoscendosi più in niente, propone di riconoscersi in tutto e legge il suo corpo come l'America e l'America - piagata - come il suo corpo)?

Williams va un passo oltre: radicalizza l'operazione whitmaniana,si guarda in faccia e si riconosce nelle «cose », perché in esse legge il momento di condizionamento primario dell'esperire individuale.

Come aveva insegnato Duchamp. Il discorso si focalizza cioè sull'« apparato» materiale delle «Cose» attraverso le quali l'individuo si esplicita; la composizione « Istruzioni» tra le più famose e antologizzate di Williams è un discorso non su un funerale, o sulla morte, o sulla solitudine dell'io, ma su un carro funebre intorno e dentro il quale si svolge la poesia; come «Buona notte» che non verte sul sogno (la visione delle tre jeunes filles en fleur), ma sul lavandino e sul prezzemolo, su una cucina, la sera. Non perché siano «poetiche », ma semplicemente perché esistono e perché ad esse è legato l'esperire dell'io lirico.

La «poesia» cioè è corollario, non esperienza subliminale dell'io che acriticamente si riconosce nell'impoetico, ma che lo ri-conosce, misurandovisi e accentuandone i meccanismi di condizionamento, secondo un processo di disvelamento e analisi della spazialità totale delle « cose », verso e contro l'uomo, che l'indirizzo figurativo « Precisionista », mutuandolo attraverso Duchamp e i cubisti, farà, di lì a qua1cheanno suo.

La difficoltà dell'impresa giustifica, accanto a poesie derivative, come si diceva, sul modello di Pound, Browning e Milton, la presenza di una serie di componimenti (tra gli altri «Cicoria e margherite », «Canzone d'amore », «Eroe» e «El hombre ») in cui la «parola» tenta di tradurre l'energia fisica, i nodi della passione e il mistero del non-significato e non-traducibile «Tramonto d'inverno» e «In porto »). Il discorso registra nella propria incisività e lapidarietà la forza e/o solitudine dell'individuo, senza cedimenti retorici: in « Preludio», ad esempio, la sintonizzazione con il cosmo è registrata nei suoi aspetti meno magniloquenti. E l'attenzione è simultaneamente focalizzata sulla parola ipoteticamente assunta quale verbum (capace di registrare il cosmo) e sulla sua negazione: in altre parole Whitman contro e a confronto con 1'« Armony Show»; l'utilizzazione della parola come tramite correlativo della «cosa» e il dubbio-certezza della propria inadeguatezza a conoscere se non attraverso una dissoluzione dei modi tradizionalidi registrazione «letteraria» della realtà; la scelta cioè di perlustrare simultaneamente la realtà e i modi di traduzione della realtà, negando alla sintassi «figurativa») tradizionale la propria funzionalità, come in «Figura Metrica ».

Di qui la «non-eroicità» del reale, perché al di là della superficie, dell'ovvietà, un'operazione di scavo, di registrazione delle forme, evidenzierà quale humus primario, la debolezza «A mo' di scusa»), l'epica antiepicità dell'esistere «Istruzioni»), lo squallore, come nei quadri di Eduard Hopper, delle strade vuote e il silenzio, il desiderio di uscire dalla propria casa trascinandosela dietro e la necessità di « parlare » la realtà corposa della città «

L'operazione di Williams si muove allora lungo le coordinate del progetto poetico di Whitman ma senza sentimentalismi, con il coraggio dello squallore, (come vorrà più tardi Ginsberg), e la certezza che la sovrapposizione del «sogno» (immaginazione-poesia) alla realtà non deve signifìcarne una lettura distorta, ma una modificazione, attraverso l'offerta di modelli di lettura alternativi.

In questo senso la storia entra, in negativo, nella città, nella vita delle «personae» che le poesie toccano. In genere attraverso le figure femminili «

Le immagini degli stracci, degli steccati, delle rimesse nei cortili parlano 1'« altra» America, raccontano l'America che Stieglitz fotografava; avvicinati in modo puritanamente «precisionista», a un passo brevIssimo dalla ipotesi iperrealista di lettura della realtà, si contrappongono ad una realtà miticamente positiva, «bella », di cui denunciano l'assenza.

Sottolineano lo squallore dell'esistenza dell'artista «McB »), contro la finzione del sogno, degli scantinati fetidi contro il sogno ad occhi aperti «Keller Gegen Dom» ), del concreto contro 1'astrattezza di un liberismo qualunquista «Ritratto di una donna a letto »).

La consapevolezza che è giunto il momento di liquidare definitivamente un'ipotesi esperienzale «romantica» si accompagna al sogno che la realtà possa essere ancora posseduta dall'io lirico individuale e individuato attraverso la parola.

Williams cioè continuando a farla nega la possibilità di fare arte, secondo la lezione dell'avanguardia storica, e così tacendo registra la propria prigionia dentro al lInguaggio, con interessanti e coraggiose sbandate all'interno della poesia.

L'ipotesi ultima è che la resa fictional della realtà sia più vera del vero e che i prodotti dell'immaginazione coartata al reale siano più raccapriccianti del ,vero, «bambina i tuoi petali si arriccerebbero!» si legge nella composizione intitolata «L'orco») e la donna, posseduta attraverso la poesia è «foglia secca» perché, al di là della sua bellezza, il paesaggio in cui si colloca, la deturpa. La lettura in profondità del mondo ne rileva gli scompensi qualitativi e denuncia - come nell'ipotesi iperrealista - l'assenza di una linea di separazione tra «sogno» e realtà: non perché il sogno (la poesia) abbia sostituito il reale ma perché il reale ha «invaso» anche il sogno, cosicché la dimensione onirica non si configura più come dimensione alternativa al reale, ma come registrazione deformata dei dati del reale.

L'intelligenza con lucidità registra il «grottesco» nel reale e in quanto si suppone « altro» rispetto al reale: al di là del gioco dell'ironia, il mostruoso, la realtà. Lo scrittore registra la dissoluzione del proprio io lirico nelle cose, la deformità polivalente ma irreversibile del proprio punto di vista «L'orco»), la provvisorietà permanente delle proprie scelte lessicali.

E la disarmonia delle opzioni tematiche sta ad indicare, secondo la lezione di Duchamp, la teorizzazione della non-scelta, ossia la impossibilità di una scelta che prescinda dal « nuovo-orrido »: la malizia, lo squallore di rapporti « sentimentali» asfittici, la solitudine, il « mostruoso» appunto, da cui sembra, non salvarsi nessuno, (i «figli del coroner », la «piccola figlia dell'omicida »), e che pare aver intaccato e plasmato totalmente il reale. La poesia si trasforma in una grossa finzione, terrificante, che come i musei delle cere disvela appunto il «mostruoso» del mondo, dentro e contro cui Williams proietta i suoi «sogni ».

La poesia si è davvero definitivamente dissolta nella prosa del mondo: partito da un intento epico, Williams ha finito per disvelare l'anti-epicità della realtà americana, passando attraverso l'esperienza dell'avanguardia storica. Dentro la dannazione della poesia, ha pubblicizzato (come Poe) la propria disperazione e le «cose» che di tale disperazione sono correlativi-condizionanti.

Tutt'al più il rischio che Williams corre è quello della contemplazione dell'oggetto che, in quanto esibizione e illustrazione dello stesso, a volte finisce per pubblicizzare appunto le « cose» piuttosto che le loro strutture profonde.

Che è un rischio, questo ultimo, corso da molti, perché qualche volta, l'avanguardia che si leva «contro la mercificazione estetica vi si precipita dentro».

La poesia infatti non cancella ma «sposta », uno dopo l'altro, gli «oggetti », ne muta la prospettiva in rapporto allo sguardo, disvela angolature diverse, pieghe nascoste, intarsi e fenditure, lucentezza e disegno, ruggine e polvere; sollecita lo sguardo, lo dirige, lo mette a fuoco, così da produrre, senza volerlo e senza che ce ne si renda conto, 'al proprio interno, un momento di scambio tra immagine e sguardo, tra la «passività» degli oggetti e la tensione/attenzione dell'intelligenza. Che farci? D'altra parte Williams aveva sostenuto che per evitare di morire è necessario evitare che l'immaginazione sia posseduta dalla morte, ma non è colpa della poesia se gli oggetti, le merei non sono più « rimuovibili » neppure dalla fantasia:

«La bomba parla. / Tutte le repressioni, I dai processi per stregoneria a Salem / ai più recenti / falò di libri: / sono la confessione / che la bomba/ è entrata nella nostra vita / per distruggerci ».

Nota: by BARBARA LANATI, William Carlos Williams"

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