La cultura per pochi e l'intelligenza di Don Lorenzo e la professoressa Spadoni
La sua vita http://sfs.azionecattolica.it/index.php/don-lorenzo-milani-e-la-scuola-di-barbiana/la-sua-vita/
La famiglia
Classe ’23, Lorenzo Milani è uno dei rampolli di una delle famiglie più ricche e sofisticate dell’alta borghesia intellettuale fiorentina. Una famiglia che per secoli ha sfornato docenti universitari e scienziati, filologi, linguisti, chimici. E la religione? La famiglia ha sostanzialmente un atteggiamento noncurante, agnostico, laico. Nel 1933 i coniugi Milani, che erano sposati civilmente, celebrano il matrimonio in chiesa e battezzano i tre figli, per timore delle leggi razziali.
Lorenzo è un signorino, spesso malaticcio, che riceve un’educazione intellettuale di altissimo livello, ma a scuola è un pessimo scolaro. Rimandato in quinta ginnasio, decide, inusitatamente, di saltare una classe: si presenta agli esami di ammissione in terza liceo da privatista e… li supera grazie ad un geniale tema di italiano.
Il pittore
Nel ‘41 la guerra anticipa la chiusura delle scuole. Lorenzo viene dichiarato maturo ma rifiuta d’andare all’università come tradizione per i Milani. Manifesta l’intenzione di dedicarsi alla pittura. Il padre la ritiene “una bambinata”. In ogni caso, detto fatto. Si firma “Lorenzino dio e pittore”. Un giovane adolescente con manie di onnipotenza.
È tempo di guerra e di fame. Lorenzo, mentre dipinge, si mette a mangiare un panino. Subito una donna del popolo lo apostrofa: “Non si viene a mangiare il pane bianco nelle strade dei poveri!”. Lorenzo comincia a prendere le distanze dalle “mollezze” signorili ereditate dalla famiglia.
È proprio per la sua passione di pittore, attraverso una ricerca sui colori della liturgia cattolica, che Lorenzo si avvicina in qualche modo alla Chiesa. A Gigliola nel ‘42 trova un vecchio messale. “Ho letto la Messa. Ma sai che è più interessante dei Sei personaggi in cerca d’autore?”, scrive all’amico Oreste Del Buono.
La conversione
3 giugno ‘43 incontra don Raffaele Bensi, che ne diventerà il direttore spirituale. “Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo.” Così lo ricorda don Bensi nelle sue memorie, e continua: “quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. e così fu”
Al capezzale di un giovane sacerdote, Lorenzo annuncia a don Bensi: “Io prenderò il suo posto” . Entra al seminario di Cestello in Oltrarno il 9 novembre ‘43. Non mancano contrasti già in seminario col rettore e col vicario generale della diocesi.
La famiglia non approva la scelta di vita religiosa del figlio. Alla cerimonia della tonsura, l’atto d’ingresso alla vita ecclesiastica, nessuno dei parenti sarà presente.
Il 13 luglio ‘47 a Santa Maria del Fiore viene ordinato sacerdote.
Esperienze pastorali
È una giornata di pioggia il 9 ottobre del ‘47, nel grosso borgo operaio di San Donato di Calenzano arriva il giovane cappellano don Milani che dovrà dare una mano al vecchio parroco Daniele Pugi.
È un periodo affascinante, che lo vede circondato da un centinaio di giovani a cui fa scuola (la scuola popolare, da lui “inventata” per avvicinare i giovani e per evangelizzarli educandoli), vive le miserie materiali e spirituali della gente del luogo. Uomini e donne chiusi nella loro solitudine, contadini smaniosi di andare in città, operai sfruttati e oppressi da tanti padroni. A San Donato il nuovo cappellano è atteso con tanta speranza e gioiosa trepidazione. Dopo il suo arrivo Lorenzo scrive alla madre: “Sicché ora sono felice e vorrei che tu lo fossi anche te”.
La Scuola Popolare era una risposta unificante alla divisione politica e culturale interna al popolo e sostituiva all’agonismo del pallone e delle mode, il piacere di sapere. La scuola c’era tutte le sere. Cominicava alle 20:30 e andava avanti fino ad esaurimento. Gli argomenti erano vari: storia dei partiti, del sindacato, delle religioni, musica, filosofia, astronomia, medicina, problemi di attualità. Ma la materia principale era la lingua: la padronanza della parola. La scuola offriva una risorsa di cui tutto il popolo aveva bisogno, credenti e non credenti.
“con la scuola non li potrò far cristiani, ma li potrò far uomini; a uomini potrò spiegare la dottrina e su 100 potranno rifiutare in 100 la Grazia o aprirsi tutti e 100, oppure alcuni rifiutarsi e altri aprirsi. Dio non mi chiederà ragione del numero dei salvati del mio popolo, ma del numero degli evangelizzati. Mi ha affidato un Libro, una Parola, mi ha mandato a predicare e io non me la sento di dirgli che ho predicato quando so che per ora non ho predicato, ma ho solo lanciato parole indecifrabili contro muri impenetrabili, parole di cui sapevo che non sarebbero arrivate e che non potevano arrivare.” (da Esperienze pastorali”)
Il fatidico 18 aprile ‘48: la Dc alle elezioni, grazie anche alla mobilitazione delle parrocchie, stravince. Don Milani attraversa un paio di tornate elettorali non senza contrasti, pur attenendosi al diktat di far votare i cristiani della parrocchia per la Dc.
Barbiana
Il 12 settembre 1954 muore Daniele Pugi, il “babbo-proposto”. Il contrasto tra don Lorenzo e gli altri preti dei dintorni emerge in modo violento. Don Milani viene esiliato: è nominato priore di Sant’Andrea a Barbiana, una piccolissima parrocchia sul monte Giovi, 475 metri sul livello del mare nei monti del Mugello, sopra Firenze. Il 6 dicembre 1954, ancora una giornata di pioggia, arriva a Barbiana.
Barbiana non può essere definito un paese e a rigore nemmeno un villaggio. A Barbiana c’è solo una chiesa, che doveva essere chiusa, con addossate alcune case; altre case, che compongono la parrocchia, sono disseminate lungo la via e i vari sentieri del monte Giovi. A Barbiana non c’è la strada, non c’è la luce, non c’è l’acqua. Irraggiungibile da automezzi. Don Milani acquista subito un posto nel piccolo cimitero di montagna, dove poi verrà sepolto con i paramenti sacri e gli scarponi da montagna.
Il giorno dopo il suo arrivo fonda una nuova scuola per i suoi ragazzi “montanini”, dove i poveri imparano la lingua che sola li può render uguali, loro che per ragioni economiche e geografiche erano fortemente svantaggiati rispetto ai ragazzi di città
Un’esperienza unica nel suo genere e forse irripetibile. Sono molti gli intellettuali attratti dalla figura di don Milani e dalla sua scuola. Numerose le visite a Barbiana: da Pietro Ingrao al teorico della nonviolenza Aldo Capitini.
Molte però anche le critiche, dal mondo ecclesiastico e da quello laico
Prete scomodo
Nel ‘58 viene pubblicato Esperienze pastorali con l’imprimatur del cardinale. Il tema di fondo è la nuova pastorale utile a ricostruire un rapporto con la classe operaia, con i poveri. Tra gli estimatori del capolavoro di don Lorenzo: Luigi Einaudi, don Primo Mazzolari, monsignor Giulio Facibeni. Il libro suscita non poche polemiche. Il Sant’Uffizio ordina il ritiro dal commercio dell’opera e ne proibisce ristampa e traduzione perché il testo è giudicato “inopportuno”.
Il 28 ottobre ‘58 diventa papa Giovanni XXIII che di lì a qualche anno convocherà il Concilio vaticano II (1962-’65). Una rivoluzione per la Chiesa.
Nel ‘59, don Lorenzo scrive a Nicola Pistelli, direttore di Politica, una rivista della sinistra cattolica, “Un muro di foglio e di incenso”, uno straordinario documento che precorre la nuova impostazione conciliare sui rapporti interni alla Chiesa cattolica. Pistelli non ha il coraggio di pubblicarlo.
Intorno al ’60 scopre di avere un tumore ai polmoni
11 febbraio 1965, nel corso di un’assemblea i cappellani militari della Toscana in un comunicato definiscono l’obiezione di coscienza “espressione di viltà”. Don Lorenzo elabora con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana la risposta ai cappellani militari, stampata in mille copie iniziali. Difende il diritto ad obiettare ma soprattutto il diritto a non obbedire acriticamente. Esplode la polemica, il priore è minacciato di venir sospeso a divinis dal vescovo Florit e denunciato, da alcuni ex combattenti, alla procura di Firenze. Viene processato, insieme al vicedirettore responsabile di Rinascita, Luca Pavolini, per apologia di reato, a Roma dove si stampa la rivista comunista. In vista del processo, non potendo parteciparvi perché malato, prepara la Lettera ai giudici. Il 15 febbraio 1966 i giudici romani, dopo tre ore di camera di consiglio, assolvono Lorenzo Milani e Luca Pavolini perché il fatto non costituisce reato.
Don Lorenzo morirà prima del processo d’appello in cui la corte sentenzierà la condanna per Pavolini a cinque mesi e dieci giorni. Per il priore di Barbiana “il reato è estinto per morte del reo”. Una condanna.
Del ’67 è invece Lettera a una professoressa, un’opera scritta dalla scuola di Barbiana collettivamente contro la scuola classista che boccia i poveri. I giudizi sulla scuola italiana sono trancianti, irrevocabili. La lettera verrà tradotta in te-desco, spagnolo, inglese e perfino giapponese.
Nel marzo ‘67 la malattia si aggrava. Gli impedisce di parlare, comunica con dei biglietti. Due giorni prima di morire il “signorino” Milani borbotterà con la consueta ironia: “Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello che passa per la cruna di un ago”.
Muore il 26 giugno ‘67. Ad appena 44 anni. È la vigilia di un ‘68 che non capirà mai fino in fondo don Milani.
Il testamento
Proprio lui, così aspro e tagliente, lascia un commovente e dolcissimo testamento a due ragazzi della scuola di Barbiana, Francuccio e Michele Gesualdi, che il priore aveva praticamente adottato, e a Eda Pelagatti, la “perpetua”, quasi una sorella, che l’aveva curato e seguito in tutta la sua vita di sacerdote. Il testamento parte con una sparata alla don Milani, ma poi si sgonfia, anzi… cresce e si illumina di tenerezza.
Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
non ho punti debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso l’Eda invece ho solo debiti e nessun credito. Traetene le conseguenze sia sul piano affettivo che su quello economico.
Un abbraccio affettuoso, vostroLorenzo
Cari altri,
non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo non è un documento importante, è solo un regolamento di conti di casa (le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino a annoiarvi).
Un abbraccio affettuoso, vostroLorenzo
Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.
Un abbraccio, vostro
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